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Il controllo della voce in Quintiliano

Il teatro e le sue tecniche hanno un influsso significativo sulla formazione dell’oratore, in particolare sull’actio (una delle cinque parti della retorica) e sulla memoria emotiva, cui Quintiliano allude implicitamente nell’undicesimo libro dell’Institutio oratoria.

Parlando dell’uso persuasivo della voce, il retore sostiene che il discorso è più efficace se l’oratore riesce ad attuare un ‘controllo intenzionale delle emozioni’ il cui manifestarsi in maniera più o meno intensa avviene attraverso un processo di regolazione. Anche in questo caso la memoria risulta indispensabile, perché può determinare le modalità con cui vengono veicolate le emozioni. Quintiliano, infatti, consiglia la memorizzazione di brani che simulino la vasta gamma delle emozioni, perché il controllo della voce divenga un fattore automatico.

Non solo si potevano memorizzare modelli stilistici, ma anche relativi al tono. Infatti, chi improvvisa, dice l’autore, è trascinato dallo stato d’animo e non pensa a quale sia il tono corretto da usare, ma se l’allievo imparerà da subito a coniugare l’inflessione della voce con il sentimento che vuole esprimere, quando ci sarà bisogno egli potrà attingere a un patrimonio interiorizzato di pathos ed automaticamente potrà mettere in atto l’actio adeguata.

Per Quintiliano questo fattore è talmente importante che egli ritiene opportuno anticipare la sua acquisizione sin dall’adolescenza ed è proprio con questa funzione che entra in gioco il teatro in sinergia con la memoria. Anche Cicerone considera il teatro un sussidio audio-visivo, un modello per la simulazione dei sentimenti attraverso la voce: infatti in un noto passo del De oratore (3, 214 ss.) egli mostra come la varietà dei toni della voce sia perseguibile attraverso l’arte e riporta una serie di esempi tratti dalla tragedia. Il procedimento è lo stesso presente nell’Institutio, cioè l’utilizzo di loci come prototipi di emozioni, memorizzati e assimilati e poi riproposti in maniera inconsapevole e automatica.

L’improvvisazione, quindi, necessita della memoria da cui attinge, come da un serbatoio, emozioni e ricordi: essi permettono all’oratore di apparire realmente convinto della propria tesi. È evidente il processo di pianificazione e regolazione sotteso a un discorso solo apparentemente spontaneo: anche se l’oratore, parlando, si immedesima nei sentimenti, non si può negare che essi sono il frutto di un’attenta disamina preventiva.

L’arte dell’improvvisazione sembrerebbe ridursi a una qualità: la capacità di saper adattare ciò che si è appreso e interiorizzato alle molteplici circostanze. La capacità di regolare e accendere le proprie emozioni è, quindi, frutto di un percorso di apprendimento e di una strategia didattica che non ripudia totalmente la spontaneità, come accadeva in Aristotele, ma fa dell’equilibrio fra immedesimazione e controllo la propria arma vincente.

Fonti:

Francesca Romana Nocchi, Memoria, affettività e immaginazione: l’intelligenza delle emozioni nella retorica antica, in Cognitive Philology, 9/2016

Gianluca Sposito, Manuale di retorica forense, INTRA, 2020

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