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Facciamo un giro (di parole)

In questi drammatici giorni molti si interrogano su quale linguaggio sia più corretto adoperare: un linguaggio diretto, esplicito, magari anche bellicoso ed esortativo, o un linguaggio più morbido ed eufemistico?

Anche in questo contesto la retorica svolge un ruolo primario nella comunicazione. La perifrasi, infatti, è un dispositivo retorico che può essere realizzato attraverso figure diverse (eufemismi, litoti, metafore, sineddochi, metonimie).

Dal greco ‘giro di parole’, ‘perifrasi’ consiste nel designare un oggetto non con il termine che solitamente lo denota ma mediante una circonlocuzione che indica nell’insieme certe sue qualità, secondo un procedimento simile a quello della definizione.

Essa risponde ad alcune funzioni tipiche: è un mezzo della censura verbale e della mitigazione, utile a prendere le distanze da realtà (che comunque si ‘raccontano’) che è opportuno o necessario non affrontare esplicitamente. Possono ad esempio riguardare il sesso, il dolore, la morte, ovvero tematiche potenzialmente ‘difficili’.

La perifrasi eufemistica, in particolare, ha origini radicate nelle inibizioni, nella decenza, nella buona creanza e nel rispetto dell’altrui sensibilità. 

Dal greco ‘parlar bene’, è una forma di dissimulazione a cui si ricorre per sostituire un’espressione diretta (ma ritenuta indecente o pericolosa o offensiva) con un’espressione indiretta, inoffensiva e neutrale. Ad esempio:

“ha subìto un rovescio finanziario”

per non parlare di ‘fallimento’;

“ha un male incurabile”

invece di ‘tumore’;

“è passato a miglior vita”

meglio che ‘morto’.

Ulteriore elemento che, non solo storicamente, fa scattare la censura verbale imponendo il ricorso ad espressioni alternative è poi la paura (legata a concezioni sacrali del potere della parola: ad esempio, la paura – in al- cune epoche e culture – di evocare influssi maligni nominando l’essere temuto, il ‘diavolo’).

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