Written by 6:55 am Litterae et consilia

Lingua del diritto o “giuridichese”?

La lingua di avvocati e giudici è stata oggetto di attente analisi che, per quanto critiche, non hanno ancora portato ad una evoluzione della specie, quanto meno in ambito lessicale e sintattico, costantemente a rischio di ‘oscurità’.

Certo, è una lingua fatta anche di un lessico tecnico, ma che oltrepassa le necessità e finisce per creare una selva oscura di cliché, formule gergali e vezzi, che si ripetono identici nel tempo e di atto in atto: una sorta di “marchio di fabbrica”, un modo consapevole e compiaciuto, utilizzato per legittimarsi reciprocamente con gli altri avvocati e davanti ai giudici, per farsi riconoscere come appartenenti alla ‘specie’ e tecnicamente ‘attrezzati’.

Tanti autori hanno, negli ultimi decenni, stigmatizzato queste sue caratteristiche: da Calamandrei a Carofiglio, passando per Scialoja e Cordero. Tutti giuristi evidentemente consapevoli che un problema sussiste.

Il volume di Gianluca Sposito, avvocato e docente di Retorica, è pensato come una sorta di percorso attraverso il quale il lettore può rendersi anzitutto conto dei problemi che affliggono appunto la lingua di giudici e avvocati, fino ad individuare delle possibili soluzioni anche metodologiche per una scrittura forense corretta ed efficace (sul sito dell’Editore Introduzione e Sommario sono liberamente consultabili).

Un volume che ha già scalato le classifiche di categoria Amazon: evidenza del fatto che il problema evidentemente sussiste e vi è anche sensibilità nel riconoscerlo e affrontarlo.

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