Le fallacie rappresentano particolari errori dell’argomentazione in cui un ragionamento, pur non essendo corretto dal punto di vista logico, risulta in qualche maniera convincente e persuasivo (su un piano strettamente comunicativo).
Le fallacie semantiche derivano dall’uso vago o ambiguo di termini ed espressioni linguistiche (ambiguità e vaghezza, va subito precisato, solo apparentemente sono termini interscambiabili).
Si distingue tra ambiguità lessicale e ambiguità strutturale. Un enunciato è strutturalmente ambiguo quando i termini contenuti hanno un unico significato, ma la loro disposizione nell’enunciato permette più interpretazioni.
La fallacia denominata anfibolia è quella che si commette quando, all’interno dello stesso argomento, si attribuiscono due o più significati diversi a uno stesso enunciato strutturalmente ambiguo, traendo quindi una conclusione scorretta.
È tipica del linguaggio oracolare (nell’antichità) e di qualche titolo di quotidiano. Ad esempio:
“contadino si uccide dopo un addio alla famiglia con un colpo di fucile”
o ancora, in ambito giuridico:
“Una vecchia legge la norma”.
Un famoso e antico anfìbolo è anche:
“La vecchia porta la sbarra”
Altrettanto ambiguo (e portare alla realizzazione di un anfìbolo) può essere l’uso della negazione:
“Tutti gli studenti non sono arrivati”
che può significare ‘alcuni studenti’ o ‘nessuno studente’. E ancora:
“Sono contrario alle tasse che rallentano la crescita economica”
“Vendesi automobile di signora anziana con carrozzeria nuova e pneumatici di scorta”
“La duchessa ha una bella nave ma è piena di crostacei”.
Si tratta di espressioni che ammettono almeno due significati e saranno di volta in volta il contesto, la punteggiatura (nel caso di discorso scritto) o l’intonazione (nel caso di discorso orale) a indicare quale di essi è pertinente (o a farvi leva).
Fonti:
- Gianluca Sposito, Manuale di retorica forense, Intra, 2020
- Gianluca Sposito, Quanto siamo retorici. Libera l’oratore che è in te, Intra, 2020