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(Ri)conoscere le figure retoriche

Le figure retoriche e una loro classificazione

La figura retorica indica un allontanamento dall’uso proprio o normale del linguaggio, inteso a conferire vivacità, ornamento, efficacia al discorso.

Pur esistendo numerose classificazioni, qui utilizzeremo un criterio distintivo relativo agli effetti linguistici. Quando gli effetti linguistici riguardano la forma e i suoni che compongono la parola sono dette ‘figure di parola’; se si riferiscono al significato della parola vengono dette ‘di significato’; se giocano sull’idea o il concetto che la parola comunica ‘di pensiero’.

Quindi distinguiamo tra:

(A) Figure di significato (o tropi, o traslati – basate sul trasferimento di significato da un’espressione a un’altra)

Antonomàsia: sostituzione del nome di una persona o di una cosa con un appellativo o una perifrasi che lo identifichi inequivocabilmente: il Ghibellin fuggiasco (Dante)

Eufemismo: perifrasi usata per attenuare un’espressione troppo cruda, dolorosa o volgare (es. andarsene per non dire morire)

Iperbole: consiste nel portare all’eccesso il significato di un’espressione, amplificando o riducendo il suo riferimento alla realtà per rafforzarne il senso e aumentarne, per contrasto, la credibilità (es. “è un secolo che non ci vediamo”)

Litòte: consiste nella formulazione attenuata di un giudizio o di un’idea attraverso la negazione del suo contrario (non ignaro, ossia esperto; non è un’aquila, ossia ha intelligenza scarsa)

Metàfora: sostituzione di una parola con un’altra il cui senso letterale ha una qualche somiglianza col senso letterale della parola sostituita (es. capelli d’oro per capelli biondi). Tradizionalmente la metafora è considerata una similitudine abbreviata (ad es. dalla similitudine il mio amore brucia come una fiamma può derivare la metafora: il mio amore è una fiamma)

Metonimìa: sostituzione di un termine con un altro che ha con il primo un rapporto di contiguità logica o fisica (es. l’autore per l’opera: ascoltare Mozart; il contenente per il contenuto: bere un bicchiere)

Perìfrasi: circonlocuzione o giro di parole con cui si significa una qualsiasi realtà cui ci si potrebbe riferire direttamente con un unico termine (es. Colui che tutto muove per definire Dio)

Sinèddoche: sostituzione di un termine con un atro che ha con il primo un rapporto di quantità (es. la parte per il tutto: una vela per intendere la barca)

Sinestesìa: particolare tipo di metafora per cui si uniscono in stretto rapporto due parole che si riferiscono a sfere sensoriali diverse (es. un colore caldo)

(B) Figure di parola (riguardano l’espressione linguistica)

Allitterazione: ripetizione di un suono o di una serie di suoni, acusticamente uguali o simili, all’inizio di due o più vocaboli successivi (es. senza capo né codabello e buonoWas it a cat I saw?’)

Anacolùto: rottura della regolarità sintattica di una frase (es. chi pecora si fa, il lupo se lo mangia)

Anàfora: ripetizione di una o più parole all’inizio di enunciati, o di loro segmenti, successivi (es. Per me si va nella città dolente, /Per me si va nell’eterno dolore, /Per me si va tra la perduta gente – Dante)

Anàstrofe: inversione del normale ordine sintattico degli elementi di una frase (es. Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate – Dante)

Asìndeto: assenza di congiunzioni coordinanti (es. veni, vidi, vici)

Climax: figura retorica, detta anche gradazione o gradazione ascendente, consistente nel passare gradatamente da un concetto all’altro, o nel ribadire un concetto unico con vocaboli sinonimi via via più efficaci e intensi, o più genericamente nel disporre i termini di una frase in ordine crescente di valore e di forza (es. Il nostro movimento d’opinione pacifista conquisterà prima l’Italia, poi l’Europa: quindi il mondo!)

Ellissi: consiste nell’omissione in una proposizione di uno o più elementi che si possono sottintendere (per es. il verbo) conferendo all’enunciato più concisione ed efficacia (es. A buon intenditor, poche parole)

Endiadi: espressione di un solo concetto mediante due termini coordinati (es. far fuoco e fiamme)

Epanalèssi: raddoppiamento di una parola o di un’espressione, ripetuta all’inizio, al centro o alla fine di un segmento testuale (es. vieni anche tu, vieni)

Ipèrbato: consiste nel separare due parole strettamente connesse dal punto di vista sintattico mediante l’inserzione di una o più parole, in modo da determinare un ordine inconsueto o irregolare degli elementi della frase

Omotelèuto: ripetizione di sillabe omofone alla fine di più parole della stessa frase (ossia, ad esempio, la rima)

Onomatopèa: si ha quando una parola imita o suggerisce il suono dell’oggetto o dell’azione che significa (es. brrr)

Paronomàsia: accostamento di parole di suono affine, ma differenti nel significato (es. amore amaro)

Pleonàsmo: aggiunta a un’espressione di parole non necessarie dal punto di vista sintattico (es. a me mi piace)

Polisìndeto: ripetizione insistita di una congiunzione (es. ed entrò, e salutò, e uscì)

Poliptòto: ripetizione della stessa parola con mutamento di flessione o di funzione sintattica (es. Cred’io ch’ei credette ch’io credesse – Dante)

(C) Figure di pensiero (riguardano le idee)

Allegoria: attribuzione di un significato simbolico, diverso da quello letterale, al discorso

Antìtesi: accostamento di due termini o espressioni di senso opposto o contrastante (es. Se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi – G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo)

Chiasmo: incrocio (disposizione a forma di X) di membri di una proposizione, dove due o più termini collocati in successione seguono in uno dei membri l’ordine inverso a quello dell’altro (es. Bei cipressetti, cipressetti miei – G. Carducci, Davanti San Guido)

Ossìmoro: unione paradossale di due termini antitetici (es. ghiaccio bollente)

Preterizione: dichiarazione che si tralascerà di parlare di un certo argomento che intanto viene nominato; in altre parole, si finge di voler omettere ciò che in realtà si dice (es. meglio non parlare di…, per non dire…)

Similitudine: figura che mira a chiarire (logicamente o fantasticamente) il concetto, presentandolo in parallelismo con un altro. Ma non sempre la similitudine è svolta per disteso (es. fu trattato come un cane). Se ancor più concentrata, la similitudine si riduce a una metafora; mentre, se ampliata, dà luogo all’allegoria o alla parabola.

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